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Via don Bosco 8, Napoli
Negli ultimi anni, la scuola italiana ha riflettuto con sempre maggiore urgenza sul ruolo dell’educatore e sul suo posto nell’istituzione scolastica. Le sfide che i giovani affrontano oggi — fragilità relazionali, difficoltà di concentrazione, disaffezione verso lo studio, bisogno di ascolto — richiedono una presenza capace di accompagnare e costruire fiducia. L’educatore, quindi, non è un “di più”, ma un elemento essenziale per la crescita integrale degli studenti.
Nel nostro Centro di Formazione Professionale “Scuola del fare” del Don Bosco, questa consapevolezza ha radici profonde. La missione salesiana è da sempre educare ed evangelizzare i giovani attraverso la presenza quotidiana, l’ascolto e la relazione. Per noi la scuola non è solo un luogo di competenze, ma uno spazio in cui il ragazzo può scoprire sé stesso e imparare a vivere. In questa prospettiva, il ruolo del Direttore pedagogico della scuola, don Claudio, e della équipe educativa, è decisivo: un lavoro silenzioso, costante, fatto di coordinamento e cura delle relazioni.
Gli ho chiesto di raccontarci quale valore porti oggi l’educatore dentro la scuola, e come contribuisca a costruire ambienti più umani e accoglienti.
“Il valore aggiunto della presenza di un educatore — spiega don Claudio — sta nella sua presenza educativa nella scuola. Non trasmettiamo solo nozioni o competenze professionali: vogliamo prenderci cura della crescita umana del ragazzo. L’educatore ricorda che lo studente non è solo un futuro lavoratore, ma una persona da accompagnare in tutte le sue dimensioni.
La semplice presenza di un educatore comunica che qui la dimensione educativa è fondamentale: la scuola diventa spazio di vita e di relazioni.”
Questo approccio si traduce in un lavoro di équipe strutturato e condiviso.
“Il coordinamento dell’équipe educativa — continua — è una novità che stiamo costruendo passo dopo passo, ma che sentiamo sempre più necessaria. Serve una linea comune, un modo condiviso di guardare ai ragazzi. Ogni educatore ha il proprio stile, ma una visione comune dà coerenza al nostro modo salesiano di educare.
Lavorare insieme, incontrarsi e confrontarsi significa creare un ambiente che rema nella stessa direzione. I ragazzi percepiscono che dietro le diverse figure adulte c’è un’unica comunità educativa, e questo rafforza la fiducia e la coerenza dell’ambiente.”
Guardando al futuro, don Claudio sottolinea come la figura dell’educatore sia destinata a diventare sempre più centrale, specialmente nel contesto salesiano, dove il Sistema Preventivo di don Bosco trova la sua espressione più autentica.
“Nel contesto salesiano , afferma , l’educatore è il segno concreto del Sistema Preventivo. Non interviene solo quando c’è un problema, ma previene, accompagna, sostiene. È presenza amichevole, ascolto, attenzione costante. Credo che questa figura vada potenziata in chiave carismatica, per rendere la scuola sempre più accogliente e rispondente ai bisogni dei ragazzi.
Ma anche fuori dal contesto salesiano, l’educatore restituisce centralità alla persona del ragazzo. Spesso la scuola rischia di vederli come numeri; l’educatore li guarda nella loro unicità. È questa cura personalizzata che può rendere la scuola davvero educativa.”
Infine, lo sguardo di don Claudio si allarga alle sfide educative del presente:
“Le fragilità degli adolescenti di oggi — spiega — sono la difficoltà di concentrazione, la fatica a stare insieme, la scarsa capacità di ascolto. In questo contesto, la presenza costante dell’educatore o del tutor fa la differenza. A differenza del docente, che è presente per un tempo limitato, il tutor vive la giornata con la classe, ne conosce le dinamiche e diventa un punto di riferimento stabile.
Quando emergono tensioni o difficoltà, l’educatore interviene favorendo il dialogo e la ricomposizione. È una figura ponte: collega studenti, docenti e famiglie, mantenendo vivo il filo del dialogo e diventando un centro di unità per l’intera comunità scolastica.”
Se la visione pedagogica dà le radici e la direzione, è poi l’esperienza quotidiana, tra aule e laboratori, a mostrare in concreto la forza della presenza educativa.
Francesca, tutor con lunga esperienza nel nostro Centro, racconta con passione l’evoluzione di questo ruolo e il valore della collaborazione con gli educatori.
“La figura del tutor educativo, nel tempo, è cresciuta molto. All’inizio — dice Francesca — era una presenza più ‘di servizio’, di sostegno al docente quando un ragazzo faticava a stare in classe. Si cercava di capire cosa ci fosse dietro un comportamento, di offrire ascolto. Oggi, invece, il tutor è un punto di riferimento centrale: accompagna l’intero percorso di crescita dello studente, costruisce il progetto di vita insieme a famiglia ed équipe educativa. Quando emerge una difficoltà, il tutor aiuta a leggerla e ad affrontarla con delicatezza.”
“Oggi il tutor è davvero il crocevia di una comunità educativa: tiene insieme scuola, famiglia, insegnanti, territorio e aziende. È il filo che lega tutte le esperienze e aiuta il ragazzo a riconoscersi dentro una rete che lo sostiene. Entriamo nel loro mondo, nei laboratori, nelle attività di territorio, nei momenti informali: è lì che si colgono talenti e sogni, e da lì cerchiamo di far nascere nuove risorse.”
Uno degli aspetti più significativi è la collaborazione con gli educatori, “il respiro della classe”.
“Ogni giorno — spiega — ci confrontiamo per capire come sta andando il gruppo, se emergono tensioni, chi è più isolato o chi prende troppo spazio. Insieme all’educatore cerchiamo di mantenere un equilibrio tra il benessere individuale e quello collettivo. È un lavoro continuo di accompagnamento, spesso silenzioso ma fondamentale. Aiutiamo i ragazzi a riconoscere le dinamiche del gruppo e a riflettere su come affrontarle. Anche l’inclusione e la socialità si imparano: il nostro compito è accompagnare questi apprendimenti umani, base di ogni altra crescita.”
Francesca ricorda anche episodi concreti in cui il lavoro in équipe ha fatto la differenza:
“Un ragazzo del corso di automotive, molto vivace e con risultati bassi, sembrava aver perso la strada. Con l’aiuto dell’educatore costruimmo un percorso di recupero personalizzato: alla fine ha completato il corso e trovato lavoro in un’azienda che ancora oggi ci ringrazia.
Un altro caso è quello di un ragazzo molto chiuso, che viveva nel silenzio. Con pazienza abbiamo lavorato individualmente e sul gruppo: dopo un anno è rifiorito, più sereno e sicuro di sé. Vedere sbocciare chi sembrava destinato a restare ai margini è il senso più bello del nostro lavoro.”
“Per lavorare efficacemente in una scuola come la nostra — conclude Francesca — un educatore deve essere formato, flessibile e capace di trasmettere fiducia. Ogni ragazzo ha bisogno di un modello su misura. L’educatore deve illuminare, come un faro, persone e momenti, con empatia e creatività. Educare significa aiutare ciascuno a scoprire la forza che ha dentro di sé, anche quando tutto sembra difficile.”
Dopo aver ascoltato chi ha maturato uno sguardo profondo sull’educazione, ho voluto raccogliere anche la voce di chi è appena all’inizio del cammino: Gennaro, un giovane tutor che da poco vive la scuola “dall’interno”.
«Le prime difficoltà – racconta – sono state capire chi è davvero il tutor e, ancora prima, chi sono i ragazzi. All’inizio erano nomi su un fascicolo; poi sono diventati volti, parole, vite vere. Ho capito che l’educazione non è un mestiere, ma una relazione che cresce nel tempo.»
«Mi sentivo scoraggiato – prosegue – finché non ho cambiato domanda: non più come risolvere, ma come costruire fiducia. Educare è credere che in ogni ragazzo ci sia un punto accessibile al bene, come diceva Don Bosco.»
Nonostante sia alle prime armi, Gennaro sente la forza del lavoro condiviso:
«Gli educatori più esperti ci affiancano sempre. Ognuno di noi ha una classe di riferimento, e questo permette di personalizzare i percorsi. È un lavoro autonomo ma profondamente condiviso: il gioco di squadra ci aiuta a dare coerenza al nostro agire.»
«Oggi – aggiunge – posso dire che il lavoro di squadra è l’essenza del nostro mestiere. Il tutor è un ponte tra docenti e studenti, un tramite che rende la didattica esperienza viva. Ogni ragazzo ha la sua chiave di accesso, e il nostro compito è scoprirla.»
Guardando avanti, esprime un desiderio:
«Mi piacerebbe che la figura del tutor fosse sempre più riconosciuta e valorizzata. Il nostro lavoro non si ferma alla scuola: deve continuare nella famiglia e nel mondo del lavoro. Sarebbe bello che anche negli stage i ragazzi trovassero figure educative che collaborano con noi, per costruire un unico filo che unisce scuola, casa e lavoro. Solo così potremo formare persone solide e felici.»
Ripenso alle tre voci ascoltate: don Claudio, con la sua visione pedagogica; Francesca, con la sua esperienza concreta; Gennaro, con l’entusiasmo dei primi passi. Tre sguardi diversi, un’unica direzione: la scuola come comunità educante.
Oggi più che mai, l’educatore — e in particolare il tutor — è un ponte tra studenti, docenti e famiglie, tra la vita in aula e quella reale. È colui che ascolta, media e costruisce legami.
Perché nessun apprendimento può germogliare in un terreno arido: serve un clima di fiducia, di ascolto e di benevolenza reciproca.
Ecco la vera sfida: fare scuola insieme, non come somma di professionalità, ma come autentica alleanza educativa, cha aiuta il ragazzo a diventare se stesso.
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